Aggiornato il: 13 Dicembre 2023
Pubblicato il: 6 Maggio 2019
Vi starete chiedendo che senso ha, per un’azienda, comportarsi come una no profit e investire in una comunicazione apparentemente poco redditizia. Ma è proprio sul “poco redditizio” che sta il colpo di scena.
La comunicazione sociale può essere molto redditizia. Ve lo dimostriamo parlando di Nike, che ha dimostrato a più riprese di sapere come investire nel brand per fidelizzare i suoi clienti.
Durante l’inno americano il quarterback Colin Kaepernick, atleta di fama mondiale, si mette in ginocchio per protestare contro il razzismo della polizia. Un cuor di leone, dato che sa di andare incontro allo sdegno del tifoso medio, patriottico fino al midollo.
Un gesto coraggioso che a Kaepernick è costato molto caro, dato che anche Trump ci ha messo lo zampino: il suo contratto è stato sospeso qualche mese dopo. Il football, o parte di esso, gli ha chiuso la porta in faccia.
In compenso un’altra porta si è spalancata, quella di Nike. Il giocatore è diventato una vera e propria star dopo aver accettato di essere testimonial di una campagna che rimarrà nella storia:
Le polemiche hanno infiammato il mondo intero. LeBron James e Serena Williams (e altri con loro) si sono schierati dalla parte di Nike, mentre i social sono impazziti di fan che pubblicavano foto in cui distruggevano scarpe e calzini Nike, urlando la loro disapprovazione.
Ma il brand non demorde, anzi persevera nella sua difesa dei più deboli.
Un rischio estremamente calcolato
Tutto questo ci commuove. E, per giunta, ci fa innamorare ancor di più dello swoosh.
Nike ha guadagnato la nostra fiducia, la nostra stima, la nostra ammirazione. Ed ecco che ci viene voglia di comprare un paio di scarpe, subito.
Ora riuscite a intuire perché, grazie alla sua comunicazione sociale, Nike ha aumentato le sue vendite del 31%?
Se è vero che ha perso un tot di fan a causa della sua presa di posizione, è anche vero che è riuscita a fidelizzarne molti altri. Nomen omen, ancora una volta: la campagna per il sociale è stata una vittoria.
Come Nike, anche Benetton, Unilever-Dove, Axe, Netflix e Ikea sono grandi brand che hanno optato per una comunicazione sociale. Giusto per citarne alcuni.
Non c’è bisogno di un congresso per capire cos’è una famiglia. #congressodellafamiglia pic.twitter.com/lKq1y3PGeB
— IKEA (@IKEAITALIA) March 30, 2019
https://www.linkedin.com/feed/update/urn:li:activity:6525032455156625408
https://www.behance.net/gallery/72257191/NETFLIX-Pride-2018-We-Are-Social
Che guarda caso sono i consumatori del domani, gli stessi che pian piano andranno a soppiantare i millennials.
“Ragazzi cresciuti nel pieno boom di Internet, abituati al multitasking e all’uso simultaneo di diversi dispositivi, ancora più interconnessi dei Millennials. Un esercito di ragazzi, circa 2 miliardi in tutto il mondo, che nel 2025 costituiranno oltre il 30% della forza lavoro. Talenti del futuro (certo non tutti e loro lo sanno) che stanno rivoluzionando anche l’approccio con cui le aziende sono costrette, volenti o nolenti, a integrare queste risorse nel miglior modo possibile.” (Repubblica.it)
Secondo lo studio “Who’s Up NXT?” di Joeri Van den Bergh, il 60% della generazione Z vuole effettivamente cambiare il mondo, distanziandosi dal solo 39% dei Millennials. Vengono riconosciuti come i principali esecutori di azioni finalizzate ad un miglioramento globale in quanto hanno raggiunto un livello di coscienza sociale comune che li fa sentire personalmente responsabili di quello che avviene nel mondo intero anche attraverso solo un piccolo gesto. 16 Sono giovani preoccupati per le sorti del pianeta, per quello che troveranno le generazioni future, temono il riscaldamento globale, si rendono conto della necessità di agire per cambiare lo status quo. (dspace.unive.it)
Proponiamo una comunicazione per il sociale?
Andiamoci cauti.
Fino ad ora abbiamo parlato di grandi brand (per non dire multinazionali), che conoscono perfettamente il comportamento di acquisto del proprio pubblico. Hanno le spalle più che coperte, e quindi possono permettersi di perdere una fetta di clienti per fidelizzarne un’altra, che evidentemente ritengono più interessante – e quindi redditizia.
Non solo: hanno una comunicazione coerente e solida, un’immagine ben definita, una personalità di marca che riflette un posizionamento sul mercato chiaro e inequivocabile.
E poi hanno un messaggio da comunicare, una filosofia, una rigogliosa cultura d’impresa. Sono popolari al punto da poter influenzare l’opinione pubblica.
Tutto questo si può costruire, mattone dopo mattone, esattamente come hanno fatto loro.
Anzi, va costruito per forza, perché tutte le aziende devono prepararsi al trionfo della generazione Z, che richiede una comunicazione diversa rispetto a quella a cui siamo stati abituati fino ad ora.
Riusciremo ad essere all’altezza di queste giovani aspettative?
Certo, però cominciamo a rimboccarci le maniche sin da ora.
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