Aggiornato il: 8 Ottobre 2021
Pane al Pane è la rubrica che ospita le nostre interviste, rivolte a professionisti che eccellono nel campo della comunicazione, oltre che in quello umano. Con questi contenuti freschi e veloci vogliamo farvi entrare nelle profondità del nostro mestiere, convinti che più si scava, più si torna in superficie con un tesoro di conoscenze da spendere. Oggi la parola va a Silvia Rocchi, artista italiana umanamente e intellettualmente ricca. Di cose da dire ne ha parecchie, alcune le ha dette a noi in questa intervista.
Il fumetto è il mezzo che prediligo perché mi piace l’idea del suo scopo finale, diventa qualcosa che puoi tenere tra le mani, un libro (nel caso dei lavori lunghi, come quelli a cui mi dedico di solito) con cui puoi interagire e quindi un modo di relazionarti con questa materia viva dalla facile diffusione.
La pittura di per sé è la disciplina che amo di più, ma come tutti i medium è fortemente legata al circuito in cui opera. E in questo caso c’è molto poco di pop – popolare – e tanto di altro, qualcosa che va al di là delle logiche semplici e immediate che apprezzo molto. In pittura purtroppo, a mio avviso la genuinità scarseggia, perlomeno nella scena italiana contemporanea che mi sono presa la briga di conoscere più a fondo ultimamente, fatta di strutture e sovrastrutture che tendono ad esaltare forme con pochi contenuti.
Dai tempi dell’accademia in cui dipingevo in aula in mezzo agli altri miei compagni di corso, con una certa disinvoltura e anzi con il piacere di gettare l’occhio a vicenda nelle cose che facevamo, ho ritrovato un certo piacere nel fare collettivo, in particolare nelle varie esperienze di live drawing a cui ho partecipato in questi ultimi tre anni.
Stanno insieme, uno da una parte, una dall’altra della bilancia. La progettualità ha grande importanza, altrimenti si perde la visione di insieme. Al tempo stesso ovviamente credo che chi sente la necessità di continuare a lavorare in campo artistico debba poter fare di tutto per nutrire quella parte del cervello che fa scattare di tanto in tanto le famose lampadine. Altrimenti non ha senso, andare avanti senza vere idee.
Di solito parto da un primo spunto legato a sentimenti che mi sembrano importanti, che valgano la pena di esser raccontati, sviscerati, portati fuori; oppure dentro, qualcosa che mi tocca profondamente, anche se non è successo a me in prima persona può trovare lo spazio per essere rielaborato. I personaggi vengono di conseguenza, inizialmente faccio fatica a caratterizzarli, ma si acquisisce metodo anche in questo, e grazie ai vari esercizi da sceneggiatori si riesce a creare un personaggio con tutta una sua (e di nessun altro) serie di caratteristiche.
No, non ci ho mai collaborato e credo che sì, potrebbe essere un’opportunità, perché no.
Dipende molto dal sentire di ciascuno, dal capire esattamente quali saranno i vari compiti da svolgere ecc.
Rispondo per quanto riguarda la comunicazione relativa al fare creativo, perché altrimenti si apre una voragine a proposito dell’uso smodato, dell’incoscienza dei finti politologi, dei danni del maltempo che preferisco non trattare.
Dunque per come la vedo io, la comunicazione è una parte essenziale dell’atto creativo, quando si sceglie di lavorare in maniera professionale in certi ambiti non si può non farci i conti, nel momento stesso in cui sto preferendo un colore a un altro sto comunicando qualcosa.
A oggi il 99% della comunicazione abita nella rete e sottrarsene può voler dire svariate cose, un paio a caso, contrapposte: o non si riesce a starci dietro, oppure consapevolmente si sceglie di non starci per mille motivi.
Per quanto riguarda strettamente i social, io mi trovo in una sorta di via di mezzo. Ci sono delle cose private che preferisco rimangano tali e altre che invece riguardano il mio lavoro che condivido sempre con piacere, un po’ per raggiungere persone che seguono il mio lavoro e che altrimenti non saprei come “aggiornare” (penso ad esempio alle mie compagne di studi all’estero o alle tante persone che ho conosciuto durante le presentazioni dei libri), un po’ per seguire anche in senso archivistico il mio percorso (incredibile ma vero, ho ricostruito il mio cv grazie a fb e ig). Alle volte condivido anche qualcosa di frivolo o leggero per bilanciare un po’, e so che vengono percepite con un sorrisetto, questo mi permette di dar sfogo anche al mio lato più scemarello (passatemi il termine).
Professionalmente sto camminando sul percorso che mi ero immaginata tanti anni fa, quando mi iscrissi all’accademia di belle arti. Sto lavorando al mattino come insegnante di grafica e al pomeriggio e per tutto il resto del tempo mi dedico a quello che mi fa stare in piedi da sempre: disegnare, dipingere, fare fumetti.
Ci è voluto – e ci vuole, la formazione non finisce mai – tanto impegno e sacrificio, per questo il mio sogno è potenziare al massimo entrambi gli aspetti: avere un mio studio staccato da casa, dove possa andare per continuare con i miei lavori e poter fare le programmazioni della didattica, dedicarmi a progetti che mi sembrano interessanti (scolasticamente, socialmente). Forse potrò comprarmi un piccolo fondo tra qualche anno, chi lo sa. Una parte del sogno è anche far parlare i personaggi dei miei fumetti in una lingua che non sia l’italiano, dato che nonostante le numerose pubblicazioni, non ho ancora tradotto niente fuori dal belpaese.
Pubblicato il: 15 Febbraio 2021
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